Parla come magni!


 Abbiamo menzionato l'inimitabile cultura gastronomica abruzzese, complessa e sfaccettata, sorprendente e, a volte, inconsueta ma non abbiamo ancora parlato della lingua, dei suoni che potreste sentire venendo in Abruzzo. Prima di tutto esiste un “dialetto abruzzese”? In realtà no. Considerando il fatto che la Regione Abruzzo dal punto di vista amministrativo non corrisponde a una suddivisione linguistica omogenea, è più opportuno parlare di idiomi o di dialetti abruzzesi che possono variare da paese a paese.
Non vogliamo annoiarvi con roba da linguisti o etnografi, ma offrirvi solo uno sguardo fugace su alcuni aspetti più peculiari dei nostri dialetti. 
 
Sapevate quante varianti ha la parola “bambino” nelle terre d’Abruzzo?
Si dice bardasc (nell’Abruzzo adriatico, anche nelle Marche), quatrano/quatrale/quatranetto  (nel chietino-aquilano) , frechino (nel Teramano, Marche), cìtl (nel Pescarese-Chietino).  Una bella varietà direi.
 
Ed eccovi anche qualche saggezza popolare detta in “lingua” abruzzese:
N’ è rumor’ de guazz’ che fà cammenà li fùss’
Non è il rumore (?) della guazza che mette in movimento l’acqua dei fossi; si dice di cosa, azione, palesemente inadeguata allo scopo.
La fatje de notte, di jurn’ se vàt’
Il lavoro fatto al buio (di notte) si rivela difettoso alla luce (di giorno).
A lu mute, la mamme lu capisce
Il muto solo la mamma lo capisce
Sti fresc a ciufila'quand l'asin nin vo'bev.
Stai fresco a fischiare quando l'asino non vuole bere. Riferito a persona che non vuole sentire ragioni.
Moje, marit e fije, coma ddi ti li da',ccusci'ti li pije.
Moglie, marito e figli, come dio te li da', cosi'te li prendi.

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